Malattie – Mai ‘na gioia!!

Si sa, i bambini si ammalano. Quando parli con dei genitori è un discorso quasi scontato, talvolta banale.
Stiamo sempre la.
Prima di diventare padre, non facevo mai caso a ciò, non davo mai e dico mai alcun peso ai colleghi che si lamentavano per il figlio ammalato, che s’era preso il raffreddore o l’influenza o l’esantematica tal dei tali.
Il mio primo pensiero era rivolto al bimbo o bimba con il moccio, la tosse e l’auspicio che guarisse presto.
Niente di più.
Ma ora che sono padre le cose cambiano. C’è molto di più dietro un semplice influenza.
Si creano delle reazioni a catena inevitabili catastrofiche nella famiglia e soprattutto nel lavoro.
Quando ero piccolo io, eh si, avevo la fortuna di vivere ancora nel periodo del boom economico, dove la mia normale famiglia si poteva permettere che un solo genitore lavorasse. Nel mio caso era quello più banale: mio padre lavorava e mia madre a casa.
Bè si, non voglio sminuire il lavoro della casalinga. Mia madre poi lo faceva a tempo pieno e con devozione. Ma questo è un’altro discorso. Quello di cui io potevo godere era della presenza certa di mia madre quando io stavo male.
I miei genitori non hanno MAI avuto il problema di chi potesse guardarmi, di cercare una baby sitter o una tata. Di telefonare ai nonni per tenermi il pomeriggio o la sera o la mattina.
Non che fosse un problema, per carità, ma se avessero lavorato tutti e due lo sarebbe stato. Eccome se lo sarebbe stato.
Oggi invece è una questione affrontata dalla maggior parte delle famiglie, che gli piaccia o no.
Figuriamoci chi ha due gemelli.

La malattia dei figli non è più solamente un problema sanitario (che nel migliore dei casi si risolve con qualche giorno di febbre) ma anche e soprattutto un problema sociale e lavorativo.
Si avete capito bene, LAVORATIVO.
Perché a meno che non siate benestanti o ereditieri come Paris Hilton, bisogna andare al lavoro. Per carità, magari anche con piacere, ma quando si ammalano i figli, scatta il planning settimanale di chi copre le ore a casa.
E per fare questo si deve dare fondo ai permessi e ferie a disposizione cercando di non appesantire la situazione in ufficio con il proprio capo.

Chi ha un figlio il rischio di ammalarsi, a meno di portarlo fuori con la neve a petto scoperto, lo ha solamente all’asilo. Dico solamente perché si sa, l’asilo è un ricettacolo di raffreddori, influenze, grattacapi a non finire. Se ne ammala uno e via che si ammalano tutti. Nei mesi invernali mi capita di vedere le presenza dei bimbi al nido decimate per un’influenza. Oggi come oggi sta girando la varicella e nella chat interna delle mamme nevrasteniche ogni giorno se ne aggiunge una con il messaggio disperato: “Alla mia Marta oggi le hanno diagnosticato la varicella. Qualche bolla, speriamo bene!” oppure “Oggi è il turno del mio Tancredi! Mamme in bocca al lupo!”.
Più che una chat sembra una roulette russa dove la pallottola d’argento questa volta ha le sembianze di un maledettissimo virus birichino.

E questo con uno.
Noi come ben sapete abbiamo due gemelli e la probabilità di avere uno o tutti e due ammalati aumenta dal 50% al 75%, anche dal punto di vista temporale.
Che vuol dire direte voi?
E mo ve lo spiego.
Un bimbo ha il 50% di ammalarsi. Cioè o si ammala o non si ammala. Ok?
Noi abbiamo il 75% di probabilità di avere almeno un figlio ammalato e la durata di rimanere a casa è ancora più alta.
Se chi ha un figlio resta 5 giorni a casa, noi rischiamo fino a 10 giorni se si ammalano sequenzialmente. E vi assicuro che nella stragrande maggioranza dei casi è così, perché quasi certo che uno dei gemelli si ammala a casa a causa dell’altro.
Quindi i giorni di “disagio” familiare nel peggiore dei casi raddoppiano.
Tutto chiaro? Bene.
Dal punto di vista sanitario io e mia moglie siamo sempre (e non prendeteci per dei menefreghisti) sereni e tranquilli. Anche  di fronte alle febbri più alte e durature, tossi tormentate e notti insonni, abbiamo affrontato i problemi di salute dei nostri figli con lucidità e coerenza. Sempre affidandoci sia al buon senso che alle diagnosi della nostra pediatra.
Fin qui tutto bene, se non fosse che il buon senso e la pediatra non ci regalano i giorni di permesso o ferie che dobbiamo prendere organizzarci ed alternare la nostra presenza al malato tal dei tali.
Ok va bene, tante belle cose, ma alla fina come si risolve?
Come al solito, come lo risolviamo noi.
Innanzi tutto NON RESTARE SOLI.
Voglio dire, se fossimo solamente io e mia moglie, vedremmo prosciugare i permessi e le ferie nel giro di qualche mese rimanendo poi scoperti per l’intero anno a venire.
La via per la soluzione è quella di circondarsi del maggiore numero di persone a conoscenza: nonni, amici, parenti, vicini di casa e magari si, di una o più di una baby sitter (di questo argomento poi ne parleremo in un altro post).
Noi il primo anno di vita dei bambini, non abbiamo avuto molti problemi. Tra l’altro mia moglie non lavorava e quindi con o senza febbre eravamo coperti.
Ma compiuto il primo anno di età, i bambini hanno iniziato l’asilo e anche se mediamente ci si aspettavamo di poter fruire delle ore del nido per lavorare, alla fine non è stato così.
Quando vi dicono che il primo anno di asilo lo passano per metà del tempo a casa, perdonate la franchezza, È TUTTO VERO.
E quindi proprio quando pensi di ricominciare un po’ di vita sociale, non solo fosse quella di rientrare al lavoro, o che tu e tua moglie magari vi possiate vedere per un pranzo veloce anche da soli, VI SBAGLIATE DI GROSSO.
Se con un bambino è difficile, con due gemelli diventa praticamente impossibile, illusorio. D’altronde con Uno? Che ce vò!
E dopo neanche un mese di inserimento (altro periodo delicatissimo) eccoci fronteggiare le febbri più bollenti, le tossi più rumorose, i catarri più soffocanti e chi più ne ha più ne metta.
Vi assicuro che io e mia moglie ce l’abbiamo messa tutta per riuscire da soli. Talvolta dormendo qualche ora per giorni, la mattina fronteggiare la febbre di uno, portare all’asilo l’altro. Andarlo a riprendere, ma chi resta a casa con quello ammalato? Allora aspetta, passo io da te e tu vai a riprendere quell’altro, poi passi per la spesa, compra le medicine, torna presto per la cena…
Ci alzavamo la mattina, neanche il tempo di parlarci che ci ritrovavamo a cena, magari con uno in braccio febbricitante e l’altro che chiedeva chiaramente mille attenzioni per gelosia e per fame.
Si, ce l’abbiamo messa tutta si. Magari saremmo riusciti a farcela stoicamente da soli si. Ma a che prezzo?
Anche perché, non dimentichiamoci che prima di essere genitori, siamo persone ed io e Simona, mia moglie (non importa che siate sposati o no) siamo compagni di avventure e di disavventure. Innamorati come la prima volta e vogliosi di continuare la nostra esperienza di vita insieme come il primo giorno. Ma ahimè tutte queste esperienze insieme, difficilmente rimangono estranee alla più parte dei rapporti personali. Con il rischio di incrinare l’armonia pre genitoriale.
Allora, siate furbi. Leggete bene perché noi ci abbiamo provato. Magari qualcun’altra al nostro posto è riuscito a scavallare il periodaccio dei tre anni, ma noi abbiamo preferito fare un passo indietro e guardare anche un po’ al nostro rapporto. E quindi abbiamo chiesto aiuto.

Ora le prime persone che vengono convocate nel momento del bisogno sono i nonni.
Bene, i miei vivono a 250 km da Roma, ed i nonni materni lavorano tutti e due.
Quindi per una febbre montata la notte, non si possono chiamare i primi, ma neanche così facilmente i secondi.
Ma non ci siamo persi d’animo. I nonni paterni danno il loro contributo per periodi più lunghi ma certi. Ad esempio un’esantematica di 5/7 giorni, rilevata in tempo ha permesso ai nonni paterni di prendere, fare i bagagli venire a Roma e coprire 4 giorni fino al rientro di tutti e due al nido.
I nonni materni invece possono essere disponibili subito, dando il loro contributo da un minimo di 1 ora ad un massimo di qualche giorno.
Prendete quello che c’è, approfittando ed incastrando il meglio che potete le loro disponibilità senza vergogne o dubbi.
Anche perché… ci sono dei momenti in cui anche con la disponibilità di tutti i nonni si rischi di rimanere soli.

È capitato di avere i nonni lavorativi, carichi di lavoro, ed i nonni paterni con l’influenza a casa. O viceversa.
Quindi anche se sembra impossibile solo con i nonni, non basta.
Proviamo anche con i vicini di casa.
Nel nostro caso una simpatica signora di 80 anni. Bè si, certo, lo capisco, sicuramente avrete alzato le sopracciglia dopo aver letto l’età, ma vi assicuro che anche l’adorabile Luciana (questo è il suo nome) da il suo contributo.
È capitato di avere Lucio con la febbre e Lorenzo vispo come un grillo.
Mia moglie prende un permesso la mattina. E resta a casa. Io esco presto per portare Lorenzo al nido per poi scappare al lavoro affrontando il traffico romano. Fin qui tutto bene.
Mia moglie si organizza, sta con Lucio, lo coccola, e fa in modo che Lucio sia “pranzato” (permettetemi il virtuosismo italiano) prima delle 12h30. A quel punto inizierà la politica di persuasione della ninna pomeridiana. Riesce a metterlo a letto prima delle 13h30 (diciamo che la febbre aiuta) dopodiché suona a Luciana che ci abita di fronte.
A quel punto Luciana viene a stare da noi. Si porta il suo rosario, si accende un po’ di TV e quello che deve fare non è altro che aspettarmi.
Simo scappa al lavoro, dove tornerà per cena, io con un permesso pomeridiano rientro per le 14h30.
Mi accerto che tutto sia tranquillo, parlo un po’ con Luciana mentre mi preparo un caffè Nespresso. Luciana è una persona squisita, una di quelle figure anziane che difficilmente si trovano ancora. Mi rassicura di tutto. È contenta di darci un aiuto e mi ripete allo sfinimento che non mi devo preoccupare di niente. E ci credo. Tolto il fatto che non voglio stancarla io più di tanto.
Temporeggiamo fino alle 15h30 dopodiché mi preparo di nuovo ed esco a prendere Lorenzo. Starò fuori 1 ora circa, giusto il tempo di andare a piedi al nido, prendere il “malloppo” e tornare a casa senza troppe distrazioni.
Rientriamo a casa io e Lorenzo, che Lucio dorme ancora e Luciana ha pure finito il suo rosario. Pasqua è passata, ma le abitudini non si cambiano mai.
Lorenzo è felice di vedere Luciana. Gioca e scherza con lei fino a che lo devo fermare: lui crede che Luciana abbia 10 anni portati male, quando invece ne ha 80 portati bene.
Luciana alla fine si congeda a malincuore. Si scusa ma ha la messa delle 17h ed ha una persona non vedente che ha bisogno di lei.
E anche oggi è fatta.
Ma anche con i nonni e Luciana, non ci crederete, ma potrebbe ancore non essere sufficiente.
E anche se riluttanti io e mia moglie affrontiamo la questione della baby sitter.
Ora credo di essere stato più che chiaro che io e Simona ci siamo spaccati in quattro per fare tutto da soli e anche se sfiniti, paradossalmente abbiamo fatto fatica ad immaginare i nostri figli lasciati soli con una persona estranea.
Ma dovevamo.
Ora la questione della baby Sitter vorrebbe un post tutto per se per questo non mi dilungherò sull’argomento.
Dico solo che la ricerca di una baby sitter non è una cosa banale.
Già trovare una persona che sia compatibile con i nostri caratteri potrebbe risultare difficile. Poi una volta trovata deve diventare compatibile con gli orari e le esigenze extra. Poi si deve creare la sintonia con i bambini dando loro il tempo di abituarsi alla persona per poi affezionarsi.
Ahimè non sempre è finisce bene. Nel peggiore dei casi, quando si trova una persona che sembra piacerti ed darti la disponibilità nei tuoi orari, dopo essere venuto un tot di volte in prova per vedere come va, appena i bambini iniziano a familiarizzare, lei magari trova un’altra cosa, o deve andare via, cambiare città, partire per la luna, fare un giro in mongolfiera, insomma ovunque piuttosto che da te.

Ed ecco che ti ritocca a cercare un’altra ragazza, altri colloqui, etc…

Non disperate. Forse siamo stati noi ad essere un po’ sfortunati, ma alla fine si risolve.
Il consiglio è di non aspettare l’ultimo minuto per trovare una baby sitter o una tata se avete bisogno di costanza nell’aiuto.

Col tempo i bambini cresceranno, saranno sempre più autonomi, vi cercheranno di meno, preferiranno andare a casa di qualche amico piuttosto che restare alla loro, o ameranno andare dai nonni che non dovranno guardarli a vista, ma fornire giusto la loro presenza per la merenda o per tenere compagnia durante i compiti.
Quando tutto si sarà risolto, voi farete ormai parte dell’associazione più vicina a casa vostra di Alcolisti Anonimi.

 

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